Discorso intorno alle cose che stanno in sull'acqua (1612)

Gli antecedenti

Nel 1611 un gruppo di aristotelici toscani prese spunto da una polemica sulle cause del galleggiamento dei corpi nell'acqua per mettere in dubbio l'attendibilità professionale di Galileo. Il dibattito fu particolarmente acceso, ed è assai probabile che ad alimentarlo non contribuissero solo le differenze d'impostazione teorica. Agli occhi degli avversari - quasi tutti professori dell'università di Pisa o, in ogni caso, membri dell'establishment culturale toscano - Galileo rappresentava un outsider, particolarmente inviso in quanto rapidamente balzato, sull'onda del successo delle scoperte telescopiche, ai fasti del prestigioso titolo (e del lauto salario) di Primario Matematico e Filosofo della persona del granduca Cosimo II.

Origine della contesa la convinzione di Galileo che il ghiaccio, contrariamente all'opinione aristotelica, non dovesse considerarsi acqua condensata, ma acqua rarefatta, che galleggia nell'acqua allo stato liquido in quanto più leggero. Dalle tematiche attinenti alla condensazione e rarefazione il confronto passò rapidamente al problema del galleggiamento nel tentativo di stabilire quale fattore mantenesse un corpo sulla superficie di un liquido o ne provocasse al contrario l'immersione. Gli aristotelici, asserendo che il ghiaccio non affonda per via della incapacità della forma che assume di fendere l'acqua, sostenevano che fossero le diverse forme dei corpi a determinarne il comportamento, una volta immersi in un liquido. Galileo, invece, tenendo a baluardo Archimede e la sua idrostatica, individuava nella differenza tra il peso specifico del liquido e quello del solido in esso immerso la causa di simili difformità [IV, 32-35].

Strenuo difensore delle dottrine peripatetiche, il letterato e filosofo Lodovico Delle Colombe sfidò Galileo a dimostrare sperimentalmente, in una riunione da tenersi a casa del canonico Francesco Nori, la sua tesi sul galleggiamento: un solido di forma sferica che, immerso in acqua, vada a fondo, andrà a fondo anche se se ne modifichi la forma. Nonostante l'accordo preso, il Delle Colombe disertò l'appuntamento, ma cominciò a vantarsi apertamente di aver smontato la teoria di Galileo, svelandone la completa erroneità.

Indispettito, Galileo rilanciò l'offerta di una dimostrazione pubblica, che si tenne presso l'abitazione fiorentina di Filippo Salviati, ma dato che la «disputa filosofica» era ormai degenerata, si sottrasse alla verifica sperimentale, dichiarando di esser piuttosto intenzionato a spiegare per iscritto le proprie ragioni.

Il 'Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua'

Nella primavera del 1612, dopo un ulteriore confronto svoltosi alla Corte medicea in presenza, fra gli altri, dei cardinali Ferdinando Gonzaga e Maffeo Barberini (il futuro papa Urbano VIII), che si schierò dalla sua parte, Galileo pubblicò a Firenze il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono. Ritenendo del tutto insoddisfacente la spiegazione data da Aristotele nell'ultimo capitolo del quarto libro del De caelo, si proponeva di determinare «qual sia la vera, intrinseca e total cagione dell'ascendere alcuni corpi solidi nell'acqua e in quella galleggiare, o del discendere al fondo», individuandola (secondo il modello teorico già delineato da Archimede) nel rapporto tra il peso specifico del solido immerso e quello del mezzo ambiente [IV, 67].

In questa prospettiva generale, Galileo assimilava il comportamento dei corpi nell'acqua al caso della bilancia a bracci diseguali, in cui l'equilibrio si ottiene non in base al solo peso, ma anche alla velocità di spostamento, ossia alla maggiore o minore distanza del peso dal fulcro. La relazione tra il peso del solido immerso e quello dell'acqua era perciò un rapporto tra momenti, intendendo per momento (esattamente come in meccanica) la forza di un corpo mobile rispetto a ciò che gli resiste, la quale non dipende soltanto dalla gravità (cioè dal peso assoluto del corpo), ma anche dalla velocità di movimento che con la gravità si combina. Corpi di peso diverso possono perciò equilibrarsi quando la velocità di movimento del corpo più leggero sia maggiore di quella del corpo più pesante [IV, 68-69].

Galileo diede anche una spiegazione ingegnosa a una delle esperienze più insidiose proposte dagli avversari, che pareva portare acqua al mulino dell'aristotelismo: prese una palla e una tavoletta sottile, entrambe d'ebano, e postele sull'acqua, la prima affondava, mentre la seconda galleggiava restando in superficie senza sommergersi. La forma sferica della palla avrebbe facilitato, secondo i peripatetici, l'attraversamento del fluido, mentre la forma piatta della tavoletta l'avrebbe resa incapace di vincere la resistenza opposta dalla densità dell'acqua. Perciò se era solo il peso specifico dei corpi, come voleva Galileo, e non la forma, a spiegare il loro comportamento nell'acqua, come mai, dati due solidi della medesima materia (e dunque di identica gravità specifica) ma di differente figura (la palla e la tavoletta d'ebano), uno affondava mentre l'altro galleggiava?

Ovviamente Galileo ignorava che la causa del fenomeno fosse da attribuire alla tensione superficiale dei liquidi, un'azione delle forze di coesione molecolare allora sconosciuta, che crea come una sorta di pellicola o membrana elastica. Pensava anzi che l'acqua non opponesse alcuna resistenza al moto dei corpi, ma influisse unicamente sulla velocità di quel moto, e negava alle forme dei corpi un ruolo nella determinazione della quiete o del movimento, accordando loro unicamente il potere di modificarne la velocità di attraversamento di un liquido [IV, 86-88, 92-93, 104-105, 107, 135-137]. L'esperimento che propose in risposta fu degno del suo acume: una lamina d'oro, pur galleggiando se posata delicatamente sulla superficie dell'acqua, una volta collocata sul fondo, non emerge, mentre assicelle d'eguale forma e dimensione, ma di materia diversa e con peso specifico minore di quello dell'acqua, anche se spinte sul fondo, risalgono sempre, raggiungendo la superficie. Visto che la confor­mazione di tutti questi corpi (la lamina d'oro e le assicelle) è la medesima e tuttavia il loro comportamento varia notevolmente, bisogna dunque concludere che la figura non decide in alcun modo del galleggiare o del sommergersi dei corpi in acqua [IV, 96-97].

E quel galleggiamento della tavoletta d'ebano esibito dagli avversari era per Galileo un galleggiamento illusorio: osservando attentamente, infatti, lamine d'oro e tavolette d'ebano penetrano l'acqua e restano al di sotto della sua superficie. Se anche la loro faccia superiore resta asciutta e a contatto con l'aria, l'intero loro spessore resterà immerso nell'acqua, rendendo difficile sostenere che si tratti di corpi galleggianti sulla superficie liquida. Il peso dell'oro e dell'ebano andrà sommato al peso dell'aria contenuta fra le pareti d'acqua nelle quali lamine e tavolette sono immerse e, come accade per i corpi cavi, ne diminuirà la forza rispetto al peso specifico dell'acqua, che opporrà così maggior resistenza [IV, 87].

La soluzione proposta da Galileo, che equiparava il comportamento delle assicelle galleggianti a quello dei corpi cavi, è sicuramente ingegnosa e raffinata, anche se in alcuni luoghi del Discorso idrostatico Galileo attribuiva all'aria non solo la capacità di sostenere la tavoletta, ma anche di sollevarla e spingerla verso l'alto [IV, 101-102]. Galileo poteva così affrontare il tema della struttura dell'acqua e dei fluidi in generale. Pur proclamandosi «irresoluto» a riguardo, sosteneva comunque che i liquidi fossero costituiti non di particelle «continue», ma di particelle «contigue», cioè di atomi, legati fra loro unicamente dal contatto. Per questo i fluidi sarebbero così penetrabili, non opponendo resistenza al moto di un corpo che li attraversa, ma influendo solo sulla sua velocità di attraversamento [IV, 105-107].

Le repliche

Galileo inviò il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua e che in quella si muovono a chiunque poté. Nel settembre l'opera fu riedita con aggiunte rilevanti. Intanto anche gli avversari si erano mossi, dando alle stampe due diversi lavori polemici. Nel luglio 1612 uscivano a Pisa le Considerazioni del Sig. Galileo Galilei intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono [IV, 145-196], a firma di un non meglio identificato Accademico Incognito, pseudonimo che nascondeva quasi certamente il Provveditore dell'Università di Pisa Arturo Pannocchieschi d'Elci, estensore della dedicatoria, nella quale affermava di aver tradotto dal latino «nel nostro idioma» un testo redatto da un «autore per ancora incognito». Qualche mese dopo vedeva la luce l'Operetta intorno al galleggiare dei corpi solidi di Giorgio Coresio [IV, 199-244], lettore di greco, anch'egli allo Studio di Pisa. Entrambi difendevano le posizioni aristoteliche contro Galileo e le insidie nascoste in una filosofia «nuova, piena di rivolgimenti, e che sotto diverse facce rappresenta tutte le cose dell'universo».

Galileo lesse con attenzione entrambi gli scritti, postillando dettagliatamente l'opuscolo dell'Accademico Incognito [IV, 182-196] e redigendo, insieme al discepolo Benedetto Castelli, una raccolta degli Errori dei più manifesti contenuti nel volumetto del Coresio [IV, 245-286]. L'opera ottenne le varie licenze di stampa, ma non andò mai in tipografia. A firma del Castelli, pur col pesante contributo di Galileo, venne invece edita nella primavera del 1615 una ponderosa Risposta alle opposizioni del S. Lodovico delle Colombe e del S. Vincenzio di Grazia contro al Trattato del Sig. Galileo delle cose che stanno in su l'acqua [IV, 451-789], nella quale si replicava alle critiche mosse dal Delle Colombe nel Discorso apologetico d'intorno al 'Discorso' di Galileo Galilei (1612) [IV, 313-369], e dal Di Grazia nelle Considerazioni sopra 'l 'Discorso' di Galileo Galilei (1613) [IV, 373-440]. Oltre  a un esame capillare degli errori dei due aristotelici e alla scrupolosa e dettagliatissima confutazione dei loro argomenti, Galileo e Castelli esprimevano energicamente il disagio di confrontarsi con interlocutori completamente digiuni di matematica, che non riuscivano a capire ed equivocavano sistematicamente le argomentazioni basate sull'idrostatica archimedea che davano risposte adeguate ai fenomeni del galleggiamento.